Patrizia Rossetti: “Vivi e lascia vivere”. Quarant’anni di televisione, sogni e verità
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Patrizia Rossetti: “Live and Let Live.” Forty Years of Television, Dreams, and Truth

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Patrizia Rossetti non è soltanto un volto televisivo: è una pagina indelebile della storia del piccolo schermo. Simbolo di un’epoca in cui la TV sapeva essere familiare e autentica, lei ha fatto ingresso con passo deciso, conquistandosi un posto non con l’artificio, ma con la sua arma più affilata: la schiettezza. Da Sanremo con Pippo Baudo a “Buon Pomeriggio”, che profumava di casa, fino alle telepromozioni che, sotto le sue mani, diventavano piccole pièce teatrali, Patrizia ha incarnato una qualità rara: la fedeltà assoluta a se stessa, anche quando il vento soffiava impetuoso nella direzione opposta.
Oggi, con oltre quarant’anni di carriera, Patrizia si racconta con quella stessa sincerità che l’ha resa tanto amata. Ricordi, confessioni, nostalgie e speranze si intrecciano in un mosaico vivido, da cui riaffiora costante il suo motto, tanto semplice quanto rivoluzionario: vivi e lascia vivere.
Ciò che segue non è una semplice intervista: è una conversazione che profuma di verità e sincerità, punteggiata di ironia, in cui Patrizia Rossetti torna ad essere ciò che è sempre stata per il pubblico italiano: l’amica della porta accanto che dice ciò che pensa, con grazia e senza paura.



Partiamo dall’inizio: quando ha capito che la TV sarebbe stata la tua strada?
All’inizio non ero affatto convinta. L’occasione arrivò con Domenica In al fianco di Pippo Baudo e poi con il Festival di Sanremo del 1982. Andò tutto bene, fu un esordio molto roboante, ma tornata a casa ripresi il mio lavoro da segretaria in un’azienda di import-export. Pensavo che fosse stata solo una situazione particolare, magari un caso, e mi dicevo: vedremo cosa succederà. Poi, però, Pippo mi chiamò di nuovo per Un milione al secondo, arrivarono ancora proposte dalla Rai, altri Festival e infine la chiamata da Mediaset. Così, nell’arco di un anno, ho capito che quella era davvero la mia strada.

E’ stata uno dei volti simbolo di Rete 4: cosa significava per lei “Buon Pomeriggio”?
È stata la trasmissione che mi ha dato una popolarità enorme: andava in onda praticamente tutti i giorni, 360 giorni all’anno. È lì che ho capito davvero di essere adatta a questo mestiere e di avere l’affetto del pubblico. Buon Pomeriggio è stato il primo programma che mi ha dato popolarità, stabilità e sicurezza».

Come vede la TV di oggi rispetto a quella che ha vissuto? C’è qualcosa che le manca o cambierebbe?
Credo che ogni periodo rifletta il momento storico che stiamo vivendo. Purtroppo questo non è un periodo bellissimo: cronaca nera, omicidi, femminicidi… ed è inevitabile che anche la televisione ne risenta e cambi aspetto. Forse, però, mancano trasmissioni più leggere e tranquille. La gente, dopo aver ascoltato notizie pesanti al telegiornale del mattino e della sera, avrebbe voglia di un po’ di serenità e anche di più educazione. Oggi ci sono troppe urla e troppe persone che, dietro l’etichetta di opinionisti, si permettono di giudicare e spesso in modo sgarbato. Io penso che ognuno possa esprimere la propria opinione, anche diversa da quella degli altri, senza però bisogno di giudicare. Bisognerebbe prima guardarsi allo specchio e poi parlare degli altri. Il pubblico, secondo me, desidererebbe proprio questo: più rispetto ed educazione. Io stessa ho sempre avuto grande considerazione per chi mi seguiva: all’epoca non esistevano i social, ma c’erano montagne di lettere e una segreteria telefonica piena. Cercavamo di ascoltare il desiderio del pubblico, anche se ovviamente non si può accontentare tutti. Oggi con i social è tutto più immediato: è bello ricevere complimenti o critiche costruttive, ma c’è anche chi, nascosto dietro una tastiera, si permette troppi giudizi, spesso volgari ed è un peccato.

Tra reality, telenovelas, programmi di servizio, quiz… quale formato sente più suo?
Sicuramente il talk show, che è quello che ho sempre fatto e che sento più nelle mie corde. Sono stata la prima a esordire su Rete 4 con un talk: Buon Pomeriggio e poi Buona Giornata, nati inizialmente come contenitori di telenovelas e di promozione dei programmi delle tre reti. Ospitavo davvero di tutto e di più, ma col tempo il programma si trasformò in un talk quotidiano: da quindici minuti iniziali arrivammo a quasi un’ora in diretta ogni giorno. È un formato che mi piace moltissimo, perché mi ha permesso di spaziare: sono stata la prima a parlare di animali, ad ospitare grandi personaggi del cinema, del teatro e della musica italiana. Forse anche la prima a condurre interviste con serenità e dolcezza, in maniera amichevole, senza mai forzare o pretendere.

L’ultima esperienza è stata L’Isola dei Famosi. Com’è andata? Che bilancio fa di questa avventura? Cosa l’ha spinta a partecipare?
È da tanti anni che mi chiamavano, ma per vari motivi legati alla salute della mia famiglia, non ero mai riuscita ad accettare. È un reality che mi sarebbe sempre piaciuto fare, certo avrei preferito affrontarlo qualche anno fa, quando ero più giovane. Però io sono come San Tommaso: devo toccare con mano prima di giudicare. Spesso si sente dire che i reality non sono del tutto veri… invece io, avendone fatti diversi, da Pechino Express al Grande Fratello, da La Fattoria fino all’Isola, posso garantire che è tutto autentico. L’ho visto con i miei occhi e sentito sulla mia pelle. L’esperienza è stata molto dura, anche perché sono stata un po’ sfortunata: mi si è rotto un dito del piede e ho avuto diversi problemi fisici. È un’avventura difficoltosa, pesante, ma anche capace di regalare soddisfazioni. Io non sono una persona competitiva: lascio andare avanti i più forti e i più giovani, ma nel mio piccolo ci provo sempre. Non si tratta per forza di vincere, quanto di mettersi alla prova, sia fisicamente che caratterialmente. Prima di partire mi ero ripromessa di imparare ad essere più paziente, meno impulsiva, e da buona toscana lo sono, di contare fino a venti prima di parlare, di essere accogliente con chi era più fragile o giovane di me. Devo dire che ci sono riuscita: questo mi ha dato grande soddisfazione.

Ha mai sentito il peso di essere una donna in un mondo televisivo ancora molto maschile?
Sì, quasi sempre. Certo, la televisione si è evoluta e oggi le donne hanno molto più spazio, ma ci abbiamo messo tanto per arrivarci e, per certi versi, c’è ancora strada da fare. Io ho avuto la fortuna di lavorare quasi sempre da sola, ma quando capitava di affiancare un conduttore maschile, magari nelle telepromozioni o come ospite nei programmi, ho notato che spesso c’era più invidia da parte degli uomini verso una donna che non tra due donne. La donna intelligente attraversa lo schermo, arriva al pubblico, e questo fa più paura. La persona brava non teme la concorrenza e lo capisce, ma chi magari è arrivato in TV più per fortuna che per merito tende a sentirsi minacciato. Personalmente ho avvertito più invidia dagli uomini che dalle donne.

Oggi molte ragazze inseguono la popolarità. Che consiglio darebbe a una ragazza che sogna di lavorare in TV oggi?
Il mio consiglio è sempre lo stesso: curiosità, professionalità e passione devono essere alla base di tutto. Non ci si deve mai fermare, né sentirsi arrivati o dare le cose per scontate. Ogni giorno c’è sempre qualcosa da imparare, anche dalle persone che meno ti aspetti, persino da chi incontri per strada. E poi ci vuole molta umiltà. Oggi si possono avere anche un milione di follower sui social, ma quella non è vera popolarità: è solo una parte. La vera prova è esserci a lungo, resistere nel tempo, che tu faccia televisione, radio o social. Se dopo un anno o due scompari, allora forse è il caso di farti qualche domanda.

Il suo libro, Semplicemente Io, edito da Frascati & Serradifalco (160 pagine), è un’autobiografia intensa e onesta. Cosa l’ha spinta a raccontarsi?
Ci pensavo da tempo, ma io sono più brava a parlare che a scrivere: quando scrivo divento prolissa. Così, parlando con il mio autore Stefano Romanò, che aveva già lavorato con me, gli dissi: “Io parlo, mi esprimo, e tu scrivi. Mettiamo insieme le due cose”. Volevo che il libro non fosse solo la cronaca della mia vita, dalla nascita fino a oggi, ma che contenesse anche ironia, leggerezza, e soprattutto sincerità. Non doveva essere romanzato: volevo che fosse schietto, autentico, proprio come sono io. Ho raccontato di me nel bene e nel male, delle mie problematiche private, delle cose belle e di quelle brutte, degli incontri con tanti personaggi, di chi ho apprezzato di più e di chi di meno, sempre però con eleganza ed educazione. E infatti chi lo ha letto, come Vittorio Giovannelli, grande direttore artistico Mediaset e persona che mi conosce da sempre, mi ha detto che non poteva essere altrimenti: il libro sono io, vera, sincera, schietta, rispettosa, ma senza paura di dire le cose. Ho fatto un calcolo e mi sono resa conto che sono più di 44 anni che lavoro in televisione: allora mi sono detta, perché non raccontare tutto quello che mi è successo? Certo, scrivendo mi sono resa conto che tante cose non le ho ricordate, perché non ti vengono in mente tutte subito. Chissà, magari un giorno potrebbe arrivare anche un sequel.

Il libro parte da una nascita difficile, quasi una sfida vinta fin dal primo respiro. Quanto quel momento iniziale ha segnato la sua visione della vita e la sua determinazione?
Sono nata prematura, a sette mesi. Mia madre si accorse delle doglie mentre stava preparando la crema per le frittelle di San Giuseppe, infatti sono nata proprio il 19 marzo. Mio padre e mio nonno dovettero portarmi d’urgenza a Firenze, al Meyer, in Lambretta, sotto la pioggia: io ero stretta tra il petto di mio padre e la schiena di mio nonno, per più di 50 chilometri. Una volta arrivati, il professore disse ai miei genitori: “Proviamoci. La mettiamo in incubatrice: se ce la dovesse fare, spacca il culo ai passeri!”. È stato davvero un inizio in salita. Uscita dall’incubatrice ero minuscola: mia mamma diceva sempre che ero “tutta piedi”, e quelli purtroppo mi sono rimasti. Avevo un colorito spento e quando mi portava in giro con la carrozzina le amiche non dicevano “che bella bambina”, ma “come sta?”. Lei, esasperata dai commenti, spesso lasciava che fosse mia nonna ad accompagnarmi. Sono stata quasi anemica fino ai 12-13 anni: facevo fatica a mangiare, ci mettevo un’ora per finire. Ho fatto varie cure, ma allora si aspettava che prima o poi l’appetito arrivasse da sé. E infatti successe: un’estate i miei nonni mi portarono a Riccione e lì, con il mare, cominciai finalmente a mangiare. Il mare ai bambini fa sempre bene, non c’è niente da fare.

Lei cita spesso le parole di Nino Manfredi: “L’umiltà è la virtù dei forti”. In che modo questa frase ha guidato le sue scelte?
Incontrai Nino Manfredi a Sanremo, per caso, in ascensore: era lì con sua moglie. Mia madre quasi svenne quando se lo trovò davanti. Fu molto gentile, mi salutò e mi fece i complimenti sia per la conduzione, perché non ci eravamo incrociati la prima sera, sia per una collanina di corallo che indossavo e che era un regalo del mio povero nonno, il mio portafortuna. Mi guardò negli occhi e mi disse: “Ti ho seguita, ti ho vista. Sei molto brava, puoi davvero diventare qualcosa in più.Hai una grande dote: l’umiltà. Ricordatela e non perderla mai, perché l’umiltà è la virtù dei forti”. Quelle parole mi sono rimaste dentro. Non ho mai smesso di portarle con me e non ho mai perso l’umiltà.

Quando Berlusconi la scelse per Mediaset, vide in lei “l’amica della porta accanto”. Pensa che oggi in TV ci sia ancora spazio per figure autentiche e genuine, o prevale lo spettacolo a tutti i costi?
Credo che ci sia ancora spazio. Vedo persone che hanno caratteristiche simili, presentatori e presentatrici carini, spontanei, capaci di condurre in maniera serena, semplice, quasi goliardica, proprio come un amico o un’amica della porta accanto. È un ruolo che secondo me non dovrebbe mai mancare. Troppa presunzione o il voler ostentare continuamente la propria bravura e la propria cultura possono, al contrario, risultare fastidiosi. Non perché non si debba mostrare ciò che si sa fare, ma perché il pubblico è vasto e variegato: c’è spazio per la cultura, per la leggerezza, per la figura rassicurante dell’amico della porta accanto. Ed è una figura che la gente apprezza molto. Lo noto quando mi fermano e mi dicono: “Sei davvero come ti vediamo in televisione, alla mano, autentica “. Per me lavorare in TV è un mestiere come un altro: sei al servizio del pubblico. È come una commessa che lavora in un negozio: deve avere sempre il sorriso, essere gentile ed educata. Entriamo nelle case degli italiani, e dobbiamo farlo senza urlare, senza presunzione, senza dire: “Sono io e ho solo io la verità in tasca”.

Lei racconta anche delle telepromozioni, spesso sottovalutate ma difficili da rendere efficaci. Qual è il segreto per comunicare sinceramente al pubblico anche in quel contesto?
Ci tengo a precisare una cosa: quando qualcuno, magari per ignoranza, dice “adesso fai solo telepromozioni”, io rispondo: ringraziamo il cielo! Ho iniziato proprio con le telepromozioni, quando entrai a Mediaset, che allora era Fininvest, perché quella televisione si è sempre retta sulla pubblicità e non sul canone. Le ho sempre fatte, nei miei programmi avevo anche cinque o sei spazi dedicati. Sono stata la prima, con il mio autore Maurizio Gianotti e Marilena Moretti, a trasformarle in vere e proprie scenette: finivo di intervistare un ospite in uno studio, cambiavo al volo abito per adattarmi al prodotto, facevo la telepromozione in diretta e poi correvo nell’altro studio a riprendere la trasmissione. Tutto rigorosamente live. E queste cose, se non le sai fare, non puoi improvvisarle. Il segreto è essere convincenti, senza mai obbligare nessuno. Io non ho mai imposto al pubblico di comprare: ho sempre dato un consiglio, lasciando liberi di scegliere. Ho avuto grandi maestri: Pippo Baudo, ma soprattutto Mike Bongiorno. Con lui ho avuto l’onore di lavorare e addirittura, come disse lui stesso, di averlo come “valletto”, perché mi chiamava “la Mike Bongiorno in gonnella”. Mi disse: “Ricordati sempre una cosa: prova il prodotto, valutalo tu per prima. Se non sei convinta, non farlo, perché un prodotto sbagliato compromette tutto”. Per questo motivo, ad esempio, rifiutai di fare la testimonial per un prestigioso marchio di pellicce. Mi offrirono una cifra importante, ma essendo da sempre amante degli animali, non me la sentii: rinunciai ai soldi e lasciai l’incarico a una collega. Non ero convinta, quindi non l’ho fatto. Il segreto, dunque, è non imporre mai nulla: il pubblico deve sentirsi libero di scegliere. E pensa, il primo sponsor che mi arrivò, i materassi Eminflex, lo faccio ancora oggi, dopo più di 40 anni. All’inizio dissi: “Va bene, durerà un mese, poi basta, perché un materasso non si cambia ogni anno”. Invece eccomi qua, quarant’anni dopo.

Nel suo libro non mancano pagine più ironiche e anche un po’ “hot”. Quanto è stato liberatorio scrivere di sé senza veli, e quanto invece faticoso mettersi così a nudo?
Non è stato affatto faticoso, perché io sono così anche nella vita di tutti i giorni: quando sono con gli amici parlo tranquillamente di me stessa, senza problemi. Se qualcuno non vuole ascoltare, non parlo; ma se mi chiedono, io sono sempre sincera. Scrivere certe pagine è stato piuttosto un modo per rinfrescare la memoria e rendermi conto che nella vita può succedere di tutto. Se affronti anche le esperienze negative con positività e ti rialzi, col tempo persino i ricordi dolorosi possono diventare belli, perché comunque fanno parte della vita. La vita non può essere sempre una meraviglia, ma ogni esperienza lascia qualcosa. Non mi sono sentita imbarazzata, anzi, l’ho fatto con piacere, proprio per dare dei messaggi a chi legge, soprattutto ai più giovani. Il mio consiglio, in particolare alle ragazze, è di non smettere mai di sognare ma, allo stesso tempo, di imparare ad allontanare subito certe persone se non si vuole soffrire.

Lei insiste molto sull’importanza della dizione Qual è l’errore più grande che oggi vede nelle nuove generazioni di conduttori e aspiranti comunicatori?
L’errore che noto più spesso riguarda proprio la dizione. Ti faccio un esempio: di recente, mentre ero in vacanza a Sirmione, ho ascoltato una giovane collega molto brava, carina, preparata, con anche una famiglia di professionisti alle spalle. Continuava però a pronunciare una parola con la “e” sbagliata. Dopo un quarto d’ora ero quasi tentata di chiamare in radio e dirle: “Guarda che la stai dicendo male”. Era bruttissimo da sentire. Poi, evidentemente, qualcuno l’ha corretta e si è sistemata. Secondo me parlare in italiano corretto è il minimo che possiamo dare al pubblico. Poi, certo, ci si può divertire con una battuta in toscano, in romano o in napoletano: oggi c’è molta più libertà rispetto ai miei tempi. Allora erano più fiscali: se sbagliavo una parola, venivo ripresa da tre o quattro persone. Ed è giusto che ci sia più libertà, per carità, ma senza esagerare. La dizione serve a farsi capire: è un atto di rispetto verso chi ti ascolta. Nel corso della mia carriera ho incontrato anche persone straniere che mi hanno detto di aver imparato l’italiano seguendo i miei programmi. Per me questo è stato un grande onore. Io arrivo da una scuola precisa, quella di Pippo Baudo e Claudio Cecchetto, dove la dizione era fondamentale: penso anche a Nicoletta Orsomando o a Mariolina Cannuli, storiche annunciatrici della Rai. Oggi, come ospite in programmi altrui, mi permetto anch’io di esprimermi con maggiore libertà. Ma se conduci, secondo me, devi essere chiaro, lineare e pulito. Nessuno è perfetto, gli errori ci stanno: l’importante è rendersene conto e, se serve, chiedere scusa. Quello che non accetto è la presunzione. Ci sono giornalisti bravissimi che fanno collegamenti impeccabili, ma altri che, permettimi, a volte non parlano un italiano corretto. Forse sono io che arrivo da un’altra scuola, quella di Pippo, Mike, Raffaella… e quindi ci bado molto di più».

Se dovesse riassumere in una frase il senso del suo Semplicemente Io, quale sarebbe?
Direi: vivi e lascia vivere.

Scrivere le ha dato la possibilità di raccontarsi in modo diverso rispetto alla TV?
Sì, decisamente. In televisione puoi dire certe cose, ma ci vuole il programma giusto, l’intervista giusta. Nel libro, invece, vai a ruota libera: non ci sono limiti, non ci sono tabù. Sei tu a decidere cosa raccontare e come farlo.

E’ mai stata delusa dal mondo dello spettacolo?
Sì, certamente. Qualche volta sono rimasta delusa, perché questo ambiente non sempre è schietto e sincero. Quando sei giovane magari non lo capisci subito e ci puoi rimanere male; quando invece sei una donna matura, con una carriera solida e risultati importanti alle spalle, ti aspetteresti almeno un po’ più di chiarezza.Un editore è libero di decidere se tenere o meno un programma, ci mancherebbe altro. Però sarebbe bello, e soprattutto corretto, essere avvisati: un “dal prossimo mese cambiamo direzione, grazie per quello che hai fatto” basterebbe. Questo purtroppo non è successo, non solo a me ma anche a colleghi illustri come Pippo Baudo o Barbara D’Urso. Ci vorrebbe più sincerità. Io, per carattere, non sono mai stata una che bussa alle porte o che si impone. Sono molto umile, forse anche troppo: se non arriva una risposta, me la faccio bastare. Sono fatalista, penso che se una cosa non succede c’è un motivo, e che ci siano sempre dei piani B pronti ad aspettarci. Le delusioni ci sono, certo: scoprire che qualcuno ti parla alle spalle o non è come pensavi, fa male. Ma credo che questo valga in tutti i campi, non solo in televisione. Alla fine, però, posso dire di aver avuto meno delusioni di altri miei colleghi. Non sono competitiva, non soffro di invidia, non porto rancore. Ho tanti difetti, non sono perfetta, ma almeno questo atteggiamento mi ha protetta.

Quando si sente davvero felice? E quando, invece, fragile?
Io mi sento felice anche nelle piccole cose, quando la giornata fila liscia. Stamattina, per esempio, sono uscita con la mia “bambina pelosa” a quattro zampe, Perla. Non pioveva, e già questo era un sollievo: niente asciugature, niente complicazioni. Poi con un caro amico siamo andati in posta: ho trovato parcheggio subito, non c’era nessuno in fila. Al supermercato la stessa fortuna, e alla fine, appena usciti, è scoppiato un temporale che ci ha bagnati come pulcini. Ma poco importa, perché tutto era andato bene. Mi son detta: “Che bella mattinata fortunata!”. Ecco, io sono felice così, quando le cose funzionano. La fragilità, invece, arriva quando sento di non essere capita, quando le persone si fermano solo all’immagine della Patrizia “roboante”, quella che appare tosta, aggressiva, diretta. In realtà dietro ci sono anche la mia dolcezza, la mia generosità, la mia tenerezza. Io sono una donna buona, forse a volte anche un po’ ingenua, ma con le mie paure e fragilità. Per anni mi sono sentita quasi in colpa per il mio carattere: pensavo di non riuscire a farmi voler bene o ad essere accettata perché troppo schietta e impulsiva. Poi ho capito che non è così. Io sbraito cinque minuti, mi sfogo anche da sola, ma poi cerco sempre una soluzione e guardo il bicchiere mezzo pieno. Il punto è che non tutti hanno voglia di vedere oltre la facciata. E se non hanno la curiosità o la sensibilità di conoscere la Patrizia vera, allora forse vuol dire che non mi meritano.

Cosa la commuove oggi?
Io mi commuovo per niente, sono una romanticona. Se guardo un film con una storia d’amore o con dei cagnolini, piango come una bambina. Purtroppo, però, mi commuovono anche le cose brutte che accadono oggi: quando senti di una donna trovata senza vita, ammazzata da un ex compagno o da un marito, più che piangere mi arrabbio, ma dentro ti resta una ferita. La verità è che sono molto sensibile: anche una semplice scena vista per strada, come una coppia che si scambia un bacio su una panchina, mi fa venire subito le lacrime agli occhi. Non ci posso fare niente, mi emoziono facilmente.

Tra tutti i ricordi, ce n’è uno che oggi le fa ancora da scudo quando sente arrivare la tempesta?
Sì. Ho perso i miei nonni abbastanza presto, sia quelli materni che paterni, e questo è sempre stato un grande dispiacere perché non hanno potuto vivere la mia popolarità e la mia carriera. Ricordo però un gesto che mi porto dentro: quando mi trasferii a Milano, mia nonna materna mise da parte due asciughini per la cucina e mi disse: “Portali con te, ti serviranno nella casa nuova”. Ecco, quando penso a quei momenti, mi spiace che non abbiano potuto godere dei miei successi. Ma il ricordo di quella semplicità, di quell’amore concreto e silenzioso, è ancora oggi un mio rifugio nei giorni difficili.

Se oggi chiude gli occhi e si ascolta davvero riesce a dirsi che è felice?
Forse “felice” è una parola un po’ troppo grande, ma sicuramente mi sento serena. E questa è già una forma di felicità. Non ho rimorsi né rimpianti: anche scrivendo il mio libro mi sono resa conto che rifarei tutto allo stesso modo, alla stessa maniera. Persino quando mi arrabbio con qualcuno, sempre con ragione, lo rifarei uguale, non cambierei una virgola.

E per concludere: che frase la rappresenta oggi, nel 2025?
Sempre la stessa: vivi e lascia vivere. È il mio motto di ieri, di oggi e di domani.

L’incontro con Patrizia Rossetti lascia l’impronta di una donna che non ha mai smesso di credere nella forza dell’umiltà e della verità. Una conduttrice capace di attraversare stagioni televisive diversissime senza mai perdere la sua autenticità, restando per tutti “l’amica della porta accanto”.
Eppure, dietro la brillantezza del piccolo schermo, il suo pensiero corre alle donne, a quelle che cadono e che hanno paura di rialzarsi. Il suo messaggio è un inno che vale più di mille manuali di resilienza:
«Qualsiasi trattamento abbiate subito, ci si può sempre rialzare. Non solo si può tornare ad amare la vita, ma si può anche restare aperte all’affetto, all’amore, alle emozioni. Non ci si deve mai chiudere: la forza è dentro di noi e vale sempre la pena rimettersi in gioco».
Un messaggio che accarezza e nello stesso tempo illumina, come un raggio discreto che filtra tra le ombre: la vita, con tutte le sue ferite, va vissuta senza mai smettere di aprirsi all’altro. Perché, come ripete Patrizia, il segreto è uno soltanto: vivi e lascia vivere.

Patrizia Rossetti is not just a television personality: she is an indelible page in the history of the small screen. A symbol of an era when TV still managed to be warm, authentic and—let’s dare say it—elegant, she carved her place not with artifices, but with her sharpest weapon: candor. From Sanremo with Pippo Baudo to Buon Pomeriggio, which smelled of home, to the commercials that under her hands became little theatrical pieces, Patrizia has embodied a rare quality: absolute loyalty to herself, even when the wind blew furiously in the opposite direction.
Today, with over forty years of career behind her, Patrizia speaks with the same sincerity that made her so loved. Memories, confessions, nostalgia and hopes intertwine in a vivid mosaic, where her lifelong motto resurfaces again and again—so simple, yet so revolutionary: live and let live.
What follows is not just an interview: it is a conversation imbued with truth and sincerity, tinged with irony, where Patrizia Rossetti once again becomes what she has always been for the Italian audience: the girl next door who says what she thinks, with grace and without fear.



When did you realize that television would be your path?
— At the beginning, I wasn’t convinced at all. The opportunity came with Domenica In alongside Pippo Baudo, and then with the Sanremo Festival in 1982. Everything went well, it was a very dazzling debut, but once back home I resumed my job as a secretary in an import-export company. I thought it might have just been a particular situation, maybe a coincidence, and I told myself: let’s see what happens. Then Pippo called me again for Un milione al secondo, more proposals came from Rai, other Festivals, and finally the call from Mediaset. Within a year, I understood that this was truly my path.

You were one of the symbolic faces of Rete 4. What did Buon Pomeriggio mean to you?
— It was the show that gave me enormous popularity: it was broadcast almost every day, 360 days a year. That’s when I truly realized I was suited for this profession and had the affection of the public. Buon Pomeriggio was the first program that gave me popularity, stability, and security.

How do you see today’s TV compared to the one you lived? Is there something missing or you would change?
— I believe every period reflects the historical moment we live in. Unfortunately, this is not a very good time: crime news, murders, femicides… it is inevitable that television also changes in response. Perhaps, however, what’s missing are lighter and calmer shows. People, after hearing heavy news in the morning and evening news broadcasts, long for a bit of serenity—and also more politeness. Today there is too much shouting and too many people who, under the label of “opinionists,” allow themselves to judge, often rudely. I think everyone can express their opinion, even if different, but without judging others. First, you should look in the mirror and then speak about someone else. What the audience wants, in my opinion, is more respect and more education. At the time, there were no social media, but there were piles of letters and endless phone messages. We tried to listen to what the public wanted, even though you can’t please everyone. Today with social media it’s more immediate: it’s nice to receive compliments or constructive criticism, but there are also those who, hidden behind a keyboard, allow themselves too many judgments, often vulgar. And that’s a shame.

Among reality shows, soap operas, service programs, and quizzes… which format feels the most yours?
— Definitely the talk show, which I’ve always done and feel closest to. I was the first to debut on Rete 4 with a talk show: Buon Pomeriggio and later Buona Giornata, initially born as containers for soap operas and promotion of programs across the three networks. I hosted a bit of everything, but over time the show turned into a daily talk: from the initial fifteen minutes we reached almost an hour live every day. It’s a format I love, because it allowed me to cover so many topics: I was the first to talk about animals, to host great cinema, theater, and music personalities. Perhaps even the first to conduct interviews with serenity and sweetness, like a friend, never forcing or demanding.

Your last experience was L’Isola dei Famosi. How did it go? What balance do you draw from this adventure? What pushed you to participate?
— They had been calling me for years, but for health reasons concerning my family, I never managed to go. It was a reality show I had always wanted to do. Of course, I would have preferred to face it years ago, when I was younger. But I’m like Saint Thomas: I have to touch with my own hands before judging. Often people say reality shows aren’t completely real… but I can guarantee they are. I experienced it myself, from Pechino Express to Grande Fratello, from La Fattoria to L’Isola. Everything is authentic. This experience was very tough, also because I was unlucky—I broke a toe and had various physical issues. It’s difficult, heavy, but also rewarding. I’m not a competitive person: I let the stronger and younger ones go ahead, but I always try. It’s not about winning, but about testing yourself, physically and mentally. Before leaving, I promised myself I would be more patient, less impulsive—as a good Tuscan, I can be—and more welcoming towards those more fragile or younger. And I managed. That gave me great satisfaction.

Have you ever felt the weight of being a woman in a still very male television world?
— Yes, almost always. Television has evolved, and women now have more space, but it took a long time to get here, and in some ways, there’s still work to do. I had the fortune to work mostly alone, but when I did work alongside a male host, in commercials or as a guest, I noticed more envy from men towards women than between women themselves. An intelligent woman crosses the screen, reaches the audience, and that scares more. A talented person has nothing to fear and understands it. But someone who arrived on TV more by luck than merit feels threatened. I’ve often felt more envy from men than from women.

Today many young women chase popularity. What advice would you give to a girl dreaming of working in TV today?
— My advice is always the same: curiosity, professionalism, and passion must be at the core. You must never stop, never feel “arrived,” never take things for granted. Every day there is something to learn—even from those you least expect, even from people you meet on the street. And then humility: that’s fundamental. Today you can have a million followers on social media, but that’s not real popularity. It’s only part of it. The real test is staying, being there in the long run—whether it’s TV, radio, or social media. If you disappear after a year or two, maybe it’s time to ask yourself some questions.

Your book Semplicemente Io, published by Frascati & Serradifalco (160 pages), is an intense and honest autobiography. What pushed you to tell your story?
— I had been thinking about it for a while, but I’m better at speaking than writing—when I write I become too wordy. So, talking with my author Stefano Romanò, who had already worked with me, I told him: “I’ll talk, I’ll express myself, and you write. Let’s put the two together.” I wanted the book not only to be the chronicle of my life, from my birth until today, but also to contain irony, lightness, and above all sincerity. It shouldn’t be romanticized—I wanted it to be frank, authentic, just like I am. I told my story in both good and bad, my private struggles, happy and sad moments, my encounters with people I liked more and those I liked less, always with elegance and respect. And in fact, those who read it, like Vittorio Giovannelli, Mediaset’s great artistic director who has known me forever, told me it couldn’t be otherwise: the book is me, true, sincere, straightforward, respectful, but never afraid to speak up. Doing the math, I realized I’ve been working in television for more than 44 years. So I said to myself: why not tell everything that happened to me? Of course, many things didn’t come to mind while writing… who knows, maybe one day there could even be a sequel.

The book begins with a difficult birth, almost a challenge won from your very first breath. How did that moment mark your view of life and determination?
— I was born premature, at seven months. My mother went into labor while making cream for St. Joseph’s fritters—fittingly, I was born on March 19, St. Joseph’s Day. My father and grandfather had to rush me to the Meyer hospital in Florence on a Lambretta, under the rain. I was wedged between my father’s chest and my grandfather’s back for more than 50 kilometers. Once we arrived, the doctor told my parents: “Let’s try. We’ll put her in an incubator. If she makes it, she’ll be unstoppable!” It was truly a tough beginning. Out of the incubator, I was tiny: my mom said I was “all feet”—and those, unfortunately, stayed with me! I was pale and frail, and when my mom took me out in the stroller, neighbors wouldn’t say “what a beautiful baby,” but “how is she doing?”. My mother, upset by those comments, sometimes let my grandmother take me out instead. I was almost anemic until 12 or 13, ate little, chewed forever. Treatments didn’t help much back then. But one summer, my grandparents took me to Riccione, and there I finally started eating. The sea works miracles for children.

You often quote Nino Manfredi’s words: “Humility is the virtue of the strong.” How has this guided your choices?
— I met Nino Manfredi in Sanremo, by chance, in an elevator. He was there with his wife. My mom nearly fainted seeing him. He was very kind, greeted me, and complimented me for my hosting. He noticed a coral necklace I wore, a gift from my late grandfather, my lucky charm. Looking into my eyes he told me: “I’ve seen you. You are very good. You could become something more. But you have a great gift: humility. Never lose it, because humility is the virtue of the strong.” Those words stayed with me. I never forgot them.

When Berlusconi chose you for Mediaset, he saw in you “the girl next door.” Do you think there is still room today for authentic, genuine figures, or does spectacle prevail at all costs?
— I think there’s still room. I see hosts, men and women, who are nice, spontaneous, able to conduct serenely, simply, even playfully, just like a friend or neighbor. And this figure should never be missing. Too much arrogance, too much showing off one’s knowledge or skills, can be irritating. Not that one shouldn’t show their talent, but the audience is vast and varied: there’s room for culture, for playfulness, for the reassuring presence of the “friend next door.” And people appreciate it. I see it when they stop me and say: “You are really like you are on TV, approachable, authentic.” For me, working in TV is a job like any other: you are at the service of the public. Like a shop assistant who must always smile, be kind, and polite. We enter the homes of Italians, and we must do so without shouting, without arrogance, without claiming to have the only truth.

You have also done many TV commercials, often underestimated but very difficult to make effective. What’s the secret to communicating sincerely to the audience, even in that context?
— I want to clarify something: when someone, perhaps out of ignorance, says “now you only do commercials,” I answer: thank goodness! I started with commercials, when I first joined Mediaset—then Fininvest—because that TV has always lived on advertising, not license fees. I always did them, sometimes five or six per show. I was the first, together with my author Maurizio Gianotti and Marilena Moretti, to turn them into little skits. I’d finish interviewing a guest in one studio, change outfit on the fly to match the product, do the commercial live, and then run back to the other studio to continue the show. All live. These things can’t be improvised. The secret is being convincing, but never imposing. I never forced anyone to buy: I gave advice, and people were free to follow or not. I had great teachers: Pippo Baudo, and above all Mike Bongiorno. I had the honor of working with him—he even jokingly called himself my “assistant,” saying: “You are Mike Bongiorno in a skirt.” He always told me: “Always test the product yourself. If you’re not convinced, don’t do it. A wrong product compromises everything.” For example, once I was offered to be the testimonial for a prestigious fur brand, with a very high fee. But as an animal lover, I couldn’t do it. I refused, and passed the job to a colleague. If I’m not convinced, I don’t do it. That’s the secret: never impose. Let the audience choose. Think about this: my very first sponsor was Eminflex mattresses. I thought it would last a month. Forty years later, I’m still doing it!

In your book there are also ironic and even a bit “hot” pages. Was it liberating to write about yourself with no filters?
— Not difficult at all, because I’m like this even with friends: I talk about myself without problems. If someone doesn’t want to listen, I won’t insist, but if they ask, I’m always sincere. Writing those pages refreshed my memory: life brings everything, good and bad, but if you face difficulties positively, even painful memories become beautiful, because they are life. Life can’t always be wonderful. I wasn’t embarrassed—on the contrary, I enjoyed it, especially to send messages to readers, especially young women. My advice is: never stop dreaming, but also learn to quickly walk away from certain people if you don’t want to suffer.

You emphasize the importance of diction. What’s the biggest mistake you see in new generations of hosts and communicators?
— The biggest mistake is exactly that: diction. Recently, while on holiday in Sirmione, I listened to a young colleague on the radio—very talented, very pretty, with a solid background—but she kept mispronouncing a word with the wrong “e.” After 15 minutes, I was tempted to call the station and say: “You’re saying it wrong.” It was awful to hear. Later, someone must have corrected her, and she fixed it. In my opinion, speaking proper Italian is the minimum we owe the public. Of course, you can joke in Tuscan, Roman, Neapolitan dialects: today there’s more freedom, and that’s good. In my time it was stricter: if I made a mistake, at least three or four people corrected me. Freedom is good, but not too much. Diction helps you be understood—it’s respect. During my career I met even foreigners who told me they learned Italian by watching my shows. For me, that’s an honor. I come from a school—Pippo Baudo, Claudio Cecchetto, Nicoletta Orsomando, Mariolina Cannuli—where diction was crucial. Today, when I’m a guest, I allow myself more freedom. But if you host, you must be clear, linear, polished. Nobody is perfect, mistakes happen: the important thing is realizing it and, if necessary, apologizing. What I don’t accept is arrogance. Even many journalists—some excellent, others less so—sometimes don’t speak proper Italian. Maybe I’m from another school, but for me diction matters a lot.

If you had to sum up your book Semplicemente Io in one sentence, what would it be?
— Live and let live.

Did writing give you the chance to express yourself differently than on TV?
— Yes, definitely. On TV you can say certain things, but you need the right show, the right interview. In a book, you can go freely: no limits, no taboos. You decide.

Have you ever been disappointed by the world of show business?
— Yes, of course. A few times I was disappointed, because this world is not always frank or sincere. When you’re young, you may not realize it immediately and feel hurt. But when you’re a mature woman, with a solid career and strong results behind you, you’d expect more transparency. A network director is free to keep or cancel a show, of course. But at least informing you—“next month we’re changing direction, thank you for your work”—would be fair. Unfortunately, that hasn’t always happened. Not just to me, but to big names like Pippo Baudo or Barbara D’Urso. What’s missing is sincerity. I, by nature, never knocked on doors to demand answers. I’m humble, perhaps too much, and if no explanation came, I accepted it. I’m also fatalistic: if something doesn’t happen, there’s a reason, and there’s always a plan B. Disappointments happen, yes, but maybe less for me than for others. I’m not competitive, I don’t envy, I don’t hold grudges. I have many flaws, I’m not perfect, but that’s protected me.

When do you feel truly happy? And when fragile?
— I feel happy even in small things, when the day flows smoothly. This morning, for example, I went out with my “furry baby” Perla. It wasn’t raining, so no drying, no hassle. Then with a dear friend I went to the post office: found parking, no queue. At the supermarket the same, then suddenly a storm hit and we got soaked—but everything had gone well. I told myself: “What a lucky morning!” That’s happiness for me. Fragility comes when people don’t understand me, when they stop at the image of the “boisterous” Patrizia, the tough one. In reality, behind that, there’s also my tenderness, generosity, sweetness. I’m a good woman, maybe sometimes naive, but with fears and fragility. For years I felt guilty, thinking my character prevented me from being accepted. Then I realized it’s not true. I vent for five minutes, but then I always look at the glass half full. The truth is not everyone wants to see beyond appearances. If they don’t want to know the real Patrizia, maybe they don’t deserve me.

What moves you today?
— I cry easily, I’m a romantic. A love story in a film, a dog story—I cry like a baby. Unfortunately, I’m also moved by the tragedies of today: when I hear of a woman killed by an ex or a husband, it makes me angry, but also breaks me inside. I’m very sensitive: even a simple scene, like a couple kissing on a bench, brings tears to my eyes. I can’t help it.

Among all your memories, is there one that still protects you when the storm comes?
— Yes. I lost my grandparents early, both maternal and paternal. They never saw my career or my success. But I remember one gesture: when I moved to Milan, my maternal grandmother set aside two kitchen towels and said, “Take them with you, you’ll need them in your new home.” That memory of her love, so simple and concrete, still protects me in difficult days.

If you close your eyes and truly listen to yourself, can you say you’re happy?
— Maybe “happy” is too big a word. But I feel serene. And that, in itself, is a form of happiness. I have no regrets or remorse. Even while writing my book, I realized I would do everything again, the same way. Even my arguments—always for good reasons—I would repeat them. I wouldn’t change a comma.

And finally: what phrase represents you today, in 2025?
— Always the same: live and let live. It’s my motto of yesterday, today, and tomorrow.

Meeting Patrizia Rossetti leaves the imprint of a woman who has never stopped believing in the strength of humility and truth. A host capable of crossing different television seasons without losing her authenticity, always remaining “the girl next door.”
Yet, behind the glitter of the small screen, her final thought goes to women—those who fall and are afraid to rise again. Her message resounds like an anthem, worth more than a thousand resilience manuals:
“No matter what you’ve been through, you can always rise again. You can not only love life again, but also remain open to affection, to love, to emotions. You must never close yourself off: strength is within us, and it is always worth getting back in the game.”
A message that both caresses and illuminates, like a discreet ray filtering through the shadows: life, with all its wounds, must still be lived without ever stopping to open yourself to others. Because, as Patrizia reminds us, the secret is just one: live and let live.

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