Photo by Alexo Wandael
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In un’epoca in cui l’informazione internazionale arriva spesso filtrata dall’intrattenimento o dall’agenda politica, la figura del corrispondente tradizionale è diventata rara. Stefano Vaccara è uno degli ultimi a svolgere questo ruolo nella sua forma più completa: reporter sul campo, osservatore istituzionale e ponte culturale tra Stati Uniti e Italia. Presidente di USIT Media Inc. dal 2002, corrispondente USA per l’agenzia Italpress e giornalista accreditato alle Nazioni Unite, Vaccara porta da più di trent’anni il racconto dell’America nelle redazioni italiane non come commentatore da studio, ma come testimone diretto.
Il suo lavoro si colloca fuori dalla logica del “format” televisivo che appiattisce la notizia a favore del dibattito spettacolarizzato: la sua è una cronaca di contesto, non di reazione. A distinguerlo è soprattutto la coerenza editoriale: Vaccara è stato fondatore e direttore de La Voce di New York, una delle poche esperienze reali di giornalismo libero e indipendente in lingua italiana sul territorio statunitense. Nessun talk urlato, nessuna linea di partito: solo voce e verifica, elementi che oggi costituiscono più eccezione che norma.
La sua prospettiva è preziosa proprio perché esterna ai meccanismi editoriali che condizionano il racconto dell’America in Italia. Non parla dall’osservatorio dei social, ma dalle sedi istituzionali dove le decisioni vengono prese: ONU, diplomazia, accademia, giornalismo investigativo. Questo gli permette di restituire un’America più reale, più complessa e meno caricaturale rispetto a quella spesso “importata” dai media italiani. Il suo contributo accademico, attraverso l’insegnamento al Lehman College (CUNY), completa il quadro: non solo cronaca, ma formazione. Significa portare negli Stati Uniti il giornalismo italiano che sa ancora distinguere tra informazione e militanza, e portare in Italia una lettura degli Stati Uniti che non passa dal filtro algoritmico, ma dallo studio delle istituzioni democratiche.
In un clima globale in cui il racconto si è fatto polarizzato, Vaccara è una delle voci che continuano a fare ciò che il giornalismo dovrebbe fare per mandato: osservare prima di interpretare, comprendere prima di semplificare. Per questo è rilevante intervistarlo: perché in un’epoca di commentatori, lui è rimasto un vero corrispondente.
Grazie per averci guidato all’interno del Palazzo delle Nazioni Unite per un intero pomeriggio e per aver ospitato Global Event Magazine, accompagnandoci attraverso spazi che pochi hanno l’occasione di vedere davvero, facendoci scoprire le sue stanze e la sua storia, tu che le conosci in profondità, ce le hai restituite non solo come luogo istituzionale, ma come luogo vissuto.
In an era where international news is often filtered through entertainment formats or political agendas, the figure of the traditional correspondent has become increasingly rare. Stefano Vaccara is one of the few who still embodies this role in its full sense: a field reporter, an institutional observer, and a cultural bridge between the United States and Italy.
President of USIT Media Inc. since 2002, U.S. correspondent for the Italpress news agency, and accredited journalist at the United Nations, Vaccara has been bringing America into Italian newsrooms for over thirty years — not as a studio commentator, but as a direct witness. His work exists outside the logic of the television “format” that flattens context in favor of spectacle: his reporting is about depth, not reaction.
What distinguishes him is editorial coherence. Vaccara founded and directed La Voce di New York, one of the very few truly independent Italian-language journalism projects in the United States. No shouting matches, no party allegiance — just voice and verification, which today are the exception rather than the rule.
His perspective is valuable precisely because it stands outside the editorial mechanics that shape how America is usually narrated in Italy. He does not speak from the vantage point of social commentary, but from the institutions where decisions are made: the United Nations, diplomacy, academia, and investigative journalism. This allows him to portray an America that is more real, more complex, and far less caricatured than the one often reproduced by Italian media.
His academic contribution, through his teaching at Lehman College (CUNY), completes the picture: not just reporting, but training future journalists. It means bringing into the United States a school of journalism that still recognizes the difference between information and activism — and bringing into Italy an understanding of America grounded not in algorithms, but in democratic institutions.
In a global media environment that has become polarized, Vaccara remains one of the rare voices that still practice the first duty of journalism: to observe before interpreting, to understand before simplifying.
That is why it is relevant to interview him today: because in an age of commentators, he is still a true correspondent.

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